MIGUEL BOSE' TRA 'MITO' E REALTA'

martedì 30 novembre 2021

Intervista della casa editrice ESPASA a Miguel Bosè, "El hijo del Capitán Trueno"

 












Non è vero che le le interviste rilasciate in Spagna siano state 'tutte' un tantino difficili e a volte "moleste"... 

Qui ce n'è una rilasciata ad Espasa, la casa editrice dell'autobiografia "El hijo del Capitán Trueno" che con poche e puntuali domande lascia che sia chi ha scritto il libro a spiegarne il 'come' e il 'perché' commentando vari capitoli , il tempo impiegato per costruirlo e  Miguel confessa che sua madre Lucia  ha avuto modo di leggere quasi tutto  il libro  😍, spingendolo anche ad aggiungere altro .

BUONA PARTE DELL'INTERVISTA,  tradotta da me , a braccio, ascoltandola 

"L’idea nasce da una conversazione con uno scrittore colombiano. Gli raccontavo aneddoti della mia vita  e lui disse che avrei dovuto scrivere tutto e subito…

Ho impiegato tre anni. Fermandomi e ricominciando. Alla fine diciamo che ci ho messo un anno.

Scrivo da quando avevo 7 anni, tutti i giorni, senza sosta. A due cose sono fedele: respirare e scrivere.

Quando termina il libro, la sera del mio debutto…lì inizia a serie televisiva che è in marcia. Questa era una parte più visuale che letteraria..le immagini, la musica, le canzoni della vita.

Il capitolo del Liceo francese è quello che mi è costato un po’ ricordare, avevo ricordi più vaghi…gli scaloni , i banchi che scricchiolavano, il mormorìo di noi alunni che dovevamo stare zitti, quasi sempre. 

L’episodio di Londra assieme a mia sorella l’ho ricordato con reticenza… sembravamo due molluschi, quasi lasciati a sé stessi, sottomessi.

Così come l’episodio della separazione dei miei genitori: lì ho cercato di non ‘mettermi’, di non apparire. Tutto molto doloroso, umiliante, con mia madre davanti alla porta e la fine di un’unione…

Sono uno che non si ferma a pensare al passato, comunque, sono più uno che guarda avanti.

Mia madre è riuscita a leggerlo quasi tutto, il libro. L’ha incantata. E mi diceva, in italiano-noi parlavamo sempre in italiano- “dai, aggiungi altro, metti ancora, devi dire di più, devi fare di più!” perché in effetti ce ne sarebbero state di cose da dire…e io ho una grande memoria sensoriale e ora capisco perché sono riuscito a scrivere tanto e soprattutto ‘ora’..ora era il momento di raccontarmi , ora che i conflitti sono risolti, dentro me.

La relazione con mio padre anche si era già risolta. Mi disse che ero l’unico che era riuscito a ‘volare’ di suo senza chiedergli niente. Forse si era un po’ vergognato di non avermi capito prima .

Io ho preso un po’ da mio padre per l’essere poco fedele. Sono fedele alle idee, ai valori, alle persone, all'amore  un po’ meno… 

Scrivere questo libro, nonostante alcuni aspetti dolorosi, brutti, pesanti mi ha rivelato che i ricordi sono una cosa bella ." .....

lunedì 29 novembre 2021

Un'intervista ancora e un video -Miguel Bosè , il suo libro, le sue idee

Intervista di ABC 

Qualche  assaggio... e un VIDEO

XLSweekly. Pensavamo di sapere tutto di te e tu te ne esci con questi...

Miguel Bosé. [Sorride]. Beh, ho scritto più di 800 pagine e ne sono rimaste 480.

XL. Avrebbe potuto essere una biografia divertente, ma è una tragedia.

M.B. Nella sfera in cui sono nato, quando succedeva qualcosa di grande, era molto grande; e quando c'era qualcosa di divertente, era estremamente divertente. I miei amici dicono che è straziante quello che ho passato e come posso condurre la mia vita in modo così naturale oggi.

XL: Nessuno ti ha mandato da uno psicologo?

M.B. Ai miei tempi c'erano gli psicologi? Abbiamo affrontato le cose da soli e questo mi ha reso molto forte e solido. All'età di 14 anni avevo già superato tutte le sgradevolezze e le brutture....... Questo libro non può scioccare: non c'è niente di lurido. Le cose forti sono presentate in modo naturale.

.........

XL. Si è pentito di aver sostenuto il PSOE?

M..B. È troppo tardi per speculare su questo. Il mio disincanto con la politica è flagrante, radicale e irreversibile e voi non sapete che peso mi sono tolto. La politica, come struttura, sta per finire. Lo sanno ed è per questo che stanno spingendo il macchinario così forte, nella disperazione. Questo sistema finirà e tu ed io lo vedremo.

XL: La Spagna ti addolora?

M.B. Spagna? Non c'è più la Spagna. Ci sono 17 Españas e non mi fanno male perché non ne soffro. Se la mia vita non mi ha fatto male, cosa ci guadagno se certe cose mi fanno male o mi interessano?

https://www.abc.es/xlsemanal/personajes/miguel-bose-polemico-libro-hijo-capitan-trueno-vida-familia.html#


 

venerdì 26 novembre 2021

MIGUEL BOSE' e CARLOS RIVERA in un nuovo, emozionante video con il brano "NADA PARTICULAR"

E così Miguel ci ha fatto la SORPRESA !
Un bellissimo video, in collaborazione con Carlos Rivera ,annunciato poche ore prima della visione in You Tube 

"Dame una isla en el medio del mar...llamala LIBERTAD" 
NIENTE DA AGGIUNGERE🙌🙏


Ancora sull'autobiografia di Miguel Bosè "El hijo del Capitán trueno (Grupo Planeta)- dalla SPAGNA E dal MESSICO

RICORDANDO AI LETTORI DOVE SI PUO' ACQUISTARE IL LIBRO,  continua la carrellata di articoli-interviste...






















IL LIBRO SI TROVA QUI, IN VERSIONE CARTACEA , acquistabile anche con Bonus Cultura 

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DALLA RIVISTA "HOLA"




Miguel Bosé ha condiviso alcuni dettagli della sua vita , e della sua infanzia nella sua autobiografia dove spiega cosa gli mancava da bambino, crescendo. Consapevole di quanto sia importante questa tappa , ora sta cercando di compensare con i suoi figli tutto ciò che non ha mai avuto. I figli dicono che è un 'polipo' per tanti abbracci che dà e certamente ciò deriva dal voler recuperare gli abbracci persi, l'affetto perso... (e qui si commuove vistosamente   ) . "Tuttavia-dice-se avessi vissuto in un ambiente diverso, non sarei quello che sono ora, non avrei questo carattere . Credo che nelle difficoltà si forgi il carattere, ci si fortifica più che  nel benessere "

https://www.hola.com/actualidad/20211110199363/miguel-bose-padre-carinoso/?jwsource=cl&fbclid=IwAR3BX1H7VGVu0PH2__jLu8yOtnYy4KWF9nwng1hREctqhnAdklSZLv94bC0



DALLA RIVISTA  "VANITATIS" 
Le donne di Bosé: il padre protettivo, l'amore platonico per Marisol e "i demoni"

Da Paloma Barrientos
13/11/2021
Miguel Bosé ha scritto delle sue esperienze nel suo libro 'El hijo del Capitán Trueno' (Espasa). Buono, medio, cattivo e molto cattivo, come i disaccordi con suo padre, Luis Miguel Dominguín. Il torero, come lo chiamavano sia Lucía Bosé che il resto della famiglia, ha una presenza importante per ciò che la mancanza di comprensione con l'uomo che era considerato un dio ha significato per l'artista. Ma se questa figura costituisce una parte interessante del racconto autobiografico per capire la sua vita, la presenza delle donne nella sua vita è fondamentale. Alcune erano le amanti di suo padre, altre le sue prime amanti. Un terzo gruppo sarebbe composto da coloro che gli prestano poca attenzione, come Marisol (Pepa Flores), gli alunni del Liceo Francés e "i demoni" del clan Dominguín che hanno reso "la vita impossibile a mia madre dal primo giorno". Senza dimenticare Lucía Bosé, che si è difesa dalla rabbia del torero e che ha ammirato e amato alla follia, accettando le sue contraddizioni e i suoi chiaroscuri.
In quell'infanzia con pochi abbracci materni e una gioventù senza bussola paterna, Miguel Bosé ebbe al suo fianco Remedios, la donna più importante e fondamentale nella struttura familiare dei figli González Bosé Dominguín. "La tata è stata la nostra salvezza, quella che ci ha trasmesso i nostri valori perché i miei genitori non c'erano mai. Era estremamente nobile e l'unica che ha osato schiaffeggiare il torero".

La Reme
Remedios de la Torre Morales, la Reme, era di Saelices (Cuenca), dove si trovava la tenuta di Villa Paz, e la persona che si occupava della casa prima che l'attrice Lucía Bosé entrasse nella vita di Dominguín. In seguito divenne la governante e la protettrice dell'italiana. E ancora di più, dei bambini, che toglieva di mezzo ogni volta che i loro genitori entravano in conflitto fisico.
 Una delle storie su di lei parla dell'ammirazione di Picasso per la tata: "Impazzì letteralmente per lei. La proponeva in pubblico come la donna "che avrei voluto come moglie", e lo faceva sfacciatamente davanti a Jacqueline. Soprattutto davanti a Jacqueline. In un altro capitolo racconta come la moglie del pittore fosse una persona cattiva che riuscì a isolarlo da tutte le persone che lo amavano, compresi Dominguín, Lucía e i suoi figli.
La tata è l'unica che appare in tutte le pagine del libro. Il torero le affidò la cura esclusiva, prima dell'erede Miguel e poi di Lucía e Paola. Quando ha accettato il lavoro, l'unica cosa che ha chiesto, e che ha sorpreso il capo con la sua proposta, è che avrebbe rinunciato al suo stipendio. "D'ora in poi ti prenderai cura di me. Voglio solo cibo, letto e uniformi pulite. Nient'altro. E le spese pagate e un tetto sulla testa". Né ha chiesto tempo libero perché "i bambini sono come la campagna". Non capiscono la domenica e le vacanze". Remedios, Reme, era il vero capofamiglia in tutti i sensi per i tre bambini, che nella società di oggi sarebbero stati considerati abbandonati dai loro genitori.
Primi amori e amori platonici
Monica fu il suo primo amore al Lycée Français. "Mi sono innamorato di una bionda dorata con i capelli lunghi, gli occhi azzurri e i tratti rinascimentali. Le sue radici ebraiche e la sua amorevole famiglia, alla quale sono stato presentato, mi hanno fatto capire che Monica non era una ragazza comune". I suoi amici non erano d'accordo con questa visione idealizzata. Dicevano solo che aveva un bel ssedere e "niente tette per la sua età". A Miguel non importava e dice: "Ero ancora in estasi e disperatamente ormonato". Come sempre, c'era la tata che lo accompagnava alla casa della "sposa". Poi è arrivata Cristina Zamoyski, Beatrice, la figlia dell'insegnante di storia... Per Miguel Bosé, il suo incontro con Marisol fu come un'apparizione nella casa di Somosaguas: "Era il mio amore platonico e quello a cui scrivevo lettere che la tata (ancora Remedios) avrebbe poi spedito". Si sono incontrati per caso. Marisol era nella casa dei Somosaguas per fare un servizio ed è stato un incontro magico: "Il mio cuore si è fermato". Si sono incontrati solo quel giorno e lei gli ha insegnato a ballare l'Hully Gully. Quell'undicenne Miguel la descrive come un angelo con la luce, anche se non si sono più incontrati. "Ha lasciato la mia casa, la mia vita, ma mai i miei sogni". Le sue cugine Carmen, Belén Ordóñez e la sorella Lucía lo hanno preso in giro a lungo per questo incontro casuale in cui c'è stato solo un bacio d'addio.

Il nemico in casa
In generale, ricorda con affetto le donne che hanno fatto parte della sua vita, tranne Jacqueline, la moglie di Picasso, e "i demoni". Nel capitolo 'La mia casa, il mio paese, la mia terra, la mia famiglia', racconta come hanno reso la vita impossibile a sua madre quando è arrivata sposata alla tenuta di Villa Paz senza conoscere lo spagnolo e facendo l'attrice, la cosa peggiore in quegli anni bui. Era la zia Ana Mari, sorella di nonno Domingo, la cui figlia, Mariví, fu alla fine l'amante di Dominguín. Il clan comprendeva Carmina (madre della famiglia Ordóñez) e Pochola. Il gruppo non si è arreso una volta che il torero ha messo in chiaro le cose mostrando che Lucía, sua moglie, era padrona Villa Paz, dopo di lui, ovviamente. Ed è così che Bosé lo racconta: "Finché mio padre si stufò dell'inganno, della disobbedienza, del pettegolezzo avvelenato che gli tolse la testa da dove doveva stare, tra due corna, e bandì per sempre la famiglia Gutiérrez González dalla tenuta".


L'INTERVISTA PIU' INTERESSANTE ... per la promozione del libro a Madrid.

"In un'intervista rilassata e amichevole, il cantante, figlio dell'attrice italiana Lucía Bosé e del torero Luis Miguel Dominguín, parla della sua infanzia, del suo rapporto con i genitori e anche dell'attualità con il suo compagno di classe del liceo francese José María Marco (che appare nel libro) e Nuria Richard".
Libri con Marco: intervista completa con Miguel Bosé
José María Marco e Nuria Richart intervistano Miguel Bosé sulla pubblicazione del suo libro 'El hijo del Capitán Trueno' (Espasa).
In un'intervista rilassata e amichevole, il cantante, figlio dell'attrice italiana Lucía Bosé e del torero Luis Miguel Dominguín, parla della sua infanzia, del suo rapporto con i genitori e anche dell'attualità.
Questa intervista ha una storia che vale la pena raccontare. Una settimana prima della pubblicazione delle memorie di Miguel Bosé (fino al 1977), sia José María Marco che io abbiamo ricevuto una chiamata dalla casa editrice Planeta. Il cantante, che stava chiudendo le interviste per promuovere il libro, ha "perso" una richiesta per il programma Libros con Marco su Libertad Digital.
Siamo stati sorpresi e felici dell'interesse dell'autore, abbiamo preso l'appuntamento e quando è arrivato il momento abbiamo spostato tutta la squadra dal set, dato che il programma non viene mai girato sul posto, a un hotel centrale di Madrid per girare lì. Ci è stato detto che Bosé concedeva ad ogni giornalista circa venticinque minuti, noi ne abbiamo chiesti almeno quarantacinque, e alla fine abbiamo chiacchierato con lui per un'ora. L'editore aveva prenotato due stanze collegate da una porta, e il cantante passava da una all'altra per sfruttare al meglio il tempo.
Quando il libro è arrivato, abbiamo saputo che la "memoria brutale" di Bosé non aveva dimenticato il suo compagno di classe per più di dieci anni al Lycée Français di Madrid, Marco, e lo riflette in un capitolo. L'aneddoto è raccontato in un capitolo, ma lo riserviamo al lettore delle memorie, che sono senza dubbio degne di nota.
Prima parte dell'intervista
El hijo del Capitán Trueno (Espasa) è un ampio inventario di dolore, sopravvivenza e solitudine. Di amore carnale e fraterno, di libido e di amicizia. Una somma di successi inediti della famiglia Dominguín-Bosé, esseri dal talento mostruoso.
Bosé riesce a far guardare al lettore, attraverso gli occhi del bambino Miguelito, una fauna che sapeva vivere solo in modo esagerato, ansioso e nervoso dall'ora della colazione in poi: "Ogni giorno era uno tsunami", ci dice.
Il dialogo, l'incarnazione dei personaggi e il climax dei momenti di maggiore tensione drammatica sono eccellenti. È anche molto lodevole ciò che non si può descrivere, quell'emozione che rimane in sospeso alla fine di ogni capitolo. Una storia cinematografica, dettagliata, sensoriale ed emozionante.
Libertad Digital presenta l'intervista ai suoi lettori e spettatori in due parti e la integra anche in questo link. La prima parte è letteraria e la seconda è politica e legata all'attualità. Era l'unico mezzo in cui Miguel usciva dal copione, si rilassava e parlava di qualsiasi cosa gli andasse. Ha dato la sua opinione, senza paura di giudizi o pregiudizi, sull'economia, il coronavirus, la libertà di espressione o l'esumazione di Franco dalla Valle dei Caduti.
Seconda parte dell'intervista
Senza censure e libero Bosé dà la sua opinione sull'economia, il coronavirus, la libertà di espressione e la riesumazione di Franco dalla Valle dei Caduti.
Questa è la seconda parte dell'intervista a Miguel Bosé durante la promozione delle sue memorie El hijo del Capitán Trueno. Incensurato e libero Bosé dà la sua opinione sull'economia, il coronavirus, la libertà di espressione e la riesumazione di Franco dalla Valle dei Caduti.
Gli chiediamo: "Il segno dei tempi? Egli risponde: "Il segno delle bugie che vedono la luce". È il tempo delle bugie svelate". Una situazione che crede non durerà a lungo perché "è la fine del sistema". La responsabilità dei media? Conclude: "la grande prostituzione che stanno subendo i media e la scienza in generale", e "non riesco a immaginare nulla che possa rimetterla in sesto".
Bosé parla di economia, e giustamente. "Al momento, il denaro che abbiamo non vale niente, è solo una banconota, ed è proprio questo che ha portato questa società a indebitarsi fino a limiti insospettabili, perché poter fare soldi che non sono niente, che sono un'entelechia, alla fine significa che l'economia non può essere sottomessa a niente". Propone un ritorno alla norma dei valori.
Altre osservazioni conclusive: "La politica come la conosciamo. Sta cadendo. Crolla. Cosa vorrebbe vedere: "Una forma di governo più orizzontale, meno piramidale e che ci tolga le tasse, perché siamo nati con i debiti".
Bosé ha sostenuto il partito socialista fin da giovane, facendo campagna per Felipe González e Rodríguez Zapatero. Il disincanto che ho nei confronti della politica è irreversibile. Non indosso una maglietta di partito, tanto meno una maglietta ideologica, e ancor meno faccio quello che stanno facendo ora, cioè mettergliela sugli occhi".
Sulla libertà di espressione: "L'autocritica non esiste e la critica non è permessa, quindi non ci può essere progresso".
Bosé si considera una vittima di entrambe le parti. "Le lunghe ombre della storia più recente, la guerra civile e il regime di Franco, governano silenziosamente e magistralmente tutte le strutture dello stato e le istituzioni". Esce il coronavirus, "questa polarizzazione che ci hanno creato ora con la pandemia, lati assurdi. Che differenza fa se ti vaccini o no? Perché ti stanno mettendo una palla quadrata in faccia". La polemica: "Ho detto delle cose un anno e mezzo fa e il mondo mi è caduto addosso, oh, che ingenuo! Fino al giorno prima, potevi dirlo e improvvisamente non puoi dirlo e scoppia lo spirito della guerra civile".
Ma non si smentisce: "Due anni fa.... Basta con questa farsa, eh? Basta con questa farsa, basta! Gli unici che si riempiono le tasche sono le case farmaceutiche . Nel mondo ci sono quattro milioni di morti su settemila ottocento e qualche milione di abitanti, pandemia? Pandemia? Che Dio scenda a parlarmene". Fa appello alla memoria: ti ricordi com'era l'influenza? Che ti ha fatto male fino alle radici dei capelli".
Parlando di schieramenti e di memoria, i partiti che fino a poco tempo fa sosteneva sono quelli che alimentano il confronto tra gli spagnoli... "Togliere Franco dalla tomba è stato un esercizio massonico, in un rituale massonico, ammettiamolo. C'era un'altra intenzione molto chiara e coloro che mi ascoltano e appartengono alla Massoneria non potranno negarla. Era composto dalla famiglia di Franco, ma l'intenzione era diversa. Lo stesso di Chávez con Bolívar, una copia carbone. Non ha niente a che vedere con la memoria storica".
Dice l'editoriale:
La fama di Miguel Bosé è tale che molti di noi lo considerano una vecchia conoscenza. Qualcuno di cui pensiamo di sapere tutto e che, pensiamo, è molto improbabile che ci sorprenda. Tuttavia, se c'è una cosa per la quale l'autore ha un talento straordinario, e lo ha dimostrato fin dall'inizio della sua carriera, è quello di polverizzare i pregiudizi.
Tutti i lettori che, vedendo questo libro, si sono chiesti: "Cosa può dirmi che io non sappia già?" saranno presi dalle prime pagine (e che pagine!) di una storia, la sua, che inizia con il respiro dei racconti senza tempo: bambini persi in balia di un padre onnipotente, abituato a che la sua volontà sia legge, e una madre travolgente di leggendaria bellezza.
Generoso e audace come non lo abbiamo mai visto, l'autore ci offre i volti meno noti di personaggi memorabili, da un Picasso vulnerabile e crepuscolare al bellissimo e maledetto Helmut Berger. E, destinata a rimanere con noi molto tempo dopo la chiusura del libro, Tata, un vero spirito benevolo, che ci ricorda le donne coraggiose disposte a tutto per proteggere le creature indifese.
Una storia che si svolge nella terra del nostro passato, che attinge ai ricordi della nostra infanzia e gioventù e che dimostra, ancora una volta, che nella contraddizione, nel dolore e nella gioia di vivere, Miguel Bosé ci capisce, ci accompagna e ci rappresenta.




PROMOZIONE IN MESSICO PER LATINOAMERICA














Un incontro con Miguel Bosé: "Quando ho iniziato a scrivere le mie memorie, 
le ferite erano già  guarite".

Andrés Del Real
In un incontro con la stampa latinoamericana a cui ha partecipato La Tercera PM, il cantante spagnolo ha approfondito la sua nuova autobiografia, El hijo del Capitán Trueno, così come il complesso rapporto con suo padre che racconta nelle sue pagine. "È nata la necessità di approfondire questa parte della mia vita che va fino all'età di 21 anni, la parte più inedita della mia vita", dice l'artista, che ha scelto di tenere una conferenza virtuale senza interazione diretta con i media, dopo diversi confronti con i giornalisti spagnoli.
Le attività promozionali intorno alla prima autobiografia di Miguel Bosé sono state complesse. Dopo la pubblicazione di El hijo del capitán trueno (Grupo Planeta), disponibile dalla scorsa settimana nelle librerie cilene, il cantante si è recentemente recato in Spagna - oggi vive in Messico - e ha rilasciato le prime interviste in diversi anni a vari media della stampa e della televisione di quel paese. Non tutti sono finiti bene e, infatti, ci sono stati diversi scontri tra i giornalisti e l'artista, che ha preteso che i suoi rappresentanti non gli chiedessero della sua separazione da Nacho Palau o delle sue discutibili dichiarazioni sulla pandemia.
Ha trattato la giornalista del quotidiano El País, per esempio, in modo ostile e ha detto che era "il suo peggior nemico". Al canale Telecinco, che lo ha seguito per le strade di Madrid, ha risposto alle loro domande puntuali rimproverandoli di "attaccare non è un lavoro". Secondo il sito web 20minutos.es ieri, l'interprete ha giustificato questi disaccordi "affermando che ha risposto con lo stesso tono con cui gli è stato chiesto".
Ora è il turno della stampa latinoamericana e i problemi sono risolti dall'inizio per Bosé. In una conferenza virtuale a cui questo media ha avuto accesso, lo spagnolo appare in un luogo indefinito dall'altra parte dello schermo, accompagnato da un moderatore che gli legge le domande dei reporter di Messico, Argentina, Colombia, Cile e altri luoghi, tutti collegati contemporaneamente dai loro rispettivi paesi. Non c'è interazione diretta tra la stampa e l'artista, e quindi nessun attrito indesiderato o la possibilità di approfondire un particolare argomento.
La modalità scelta permette al solista 65enne di essere istrionico, piacevole, rilassato, come ai vecchi tempi. La sua voce sembra anche meno ovattata che nelle interviste recenti. Inizia a rispondere pazientemente e gentilmente alle domande sul suo nuovo libro, un progetto che gli ha richiesto quasi tre anni di intenso lavoro (dalle 8 alle 14 ore di scrittura durante l'anno precedente all'uscita, dice), e nel quale si concentra soprattutto sui suoi primi 21 anni di vita e sul difficile rapporto con la sua famiglia, specialmente con suo padre, il torero Luis Miguel Dominguín.
"Se devo usare una parola per riassumere il processo, è che è stato molto pacifico. Ha messo insieme molti pezzi, ha permesso di capire molto meglio quello che è successo e perché è successo, di capire che questo doveva succedere", spiega l'artista a proposito delle sue memorie, in cui racconta un rapporto teso con Dominguín, i maltrattamenti, l'abbandono e soprattutto la sua impossibilità di adeguarsi alle aspettative del suo esigente e famoso padre.
"Per ricordare, bisogna essere disposti a rivivere quelle cose, a tirare il filo perché appaiano complete, e soprattutto a riconciliarsi, piuttosto che dimenticarle. Chiedere perdono, perdonare, chiedere scusa. Questo è il grande esercizio, il più difficile", dice Bosé di questa riunione con il suo passato, quello di Miguelito, i suoi genitori superstar, la convivenza domestica con grandi figure dell'arte del XX secolo nella casa di famiglia, la separazione dei suoi genitori, i suoi primi passi come cantante.
Una preistoria che finisce quando l'autore ha 21 anni. Quello che è venuto dopo, ci assicura, farà parte di una serie televisiva che sta preparando, in linea con quello che altri colleghi come Luis Miguel hanno fatto negli ultimi anni. A 65 anni, il figlio di Capitán Trueno ha anche deciso di somministrare la sua autobiografia in varie dosi e di regolare i conti con suo padre per spiegare la propria vita ai suoi fan.
"Le cose accadono quando sono mature, non si cerca il momento, il momento tende a cercarti. Quando ho lasciato la Spagna e sono andato a vivere a Panama, il secondo anno che ero lì, questo progetto è venuto fuori dopo conversazioni con un grande amico scrittore colombiano, l'idea di entrare in questo mondo è venuta fuori. E mi ha detto di scrivere come si racconta. In effetti, la scrittura è una scrittura molto parlata", dice del suo libro.


mercoledì 10 novembre 2021

Miguel Bosè a Madrid in promozione dell'autobiografia ‘El hijo del Capitán Trueno’. Interviste e video

























































Oggi, 10 Novembre 2021 , a partire dalla mezzanotte, orario in cui è stato rilasciato in versione Kindle il libro ‘El hijo del Capitán Trueno’ (ed è stato SUBITO MIO! 😊) è stato un rincorrersi di articoli, video, interviste, tutte rilasciate da Miguel nell'hotel Orfila de Madrid dove è stato girato il vídeo di "Decirnos Adiós " con Penélope Cruz .
Un libro di memorie che attraversa la sua infanzia e adolescenza, all'ombra di un matrimonio di artisti, e arriva all'anno 1977, quando sale per la prima volta sul palco.
























Miguel Bosé, all'hotel Orfila di Madrid. / FOTO COPYRIGHT JOSÉ RAMÓN LADRA

Prima che il musicista entri nell'affascinante stanza dell'hotel Orfila di Madrid, già avvertono: "Se chiedi qualcosa che non ha nulla a che fare con il libro, interrompi l'intervista e vattene". La cosa inizia con una certa tensione, anche se svanisce con l'arrivo di un attento Bosé, che saluta ciascuno dei presenti con una forte stretta di mano e un ampio sorriso .

Alla domanda del 'perchè' scrivere una biografia ora Miguel risponde ai vari giornalisti : 

"Arriva un momento nella vita che ti spinge e crea la voglia di guardare indietro. Quando ho lasciato la Spagna e sono andato a vivere a Panama, lontano dalle mie radici, ho cominciato a sentire quella nostalgia del passato. E ricordando tutte le cose che mi sono successe, ho cominciato a capire perché ho finito per essere quello che sono.

Cosa hai imparato su te stesso?

-Più che imparare, ho guadagnato. Ho guadagnato la pace, molta pace. L'esercizio di scrittura mi ha permesso di perdonare e di chiedere perdono ai miei cari, ho capito perché la mia infanzia e la mia gioventù sono state così, che non c'era altro modo. Quando si specula e si cerca di immaginare scenari alternativi, ci si sbaglia, perché le linee del tempo tornano sempre al loro posto originale. Non si può barare con il passato.




-Quando si legge il libro, le nostre esistenze sembrano insignificanti accanto alle tue. Eri consapevole del fatto che la tua vita non era neanche lontanamente normale?

-No, e non me ne rendo conto nemmeno oggi. Ti sento dire questo e ti credo, ma nel contesto in cui sono cresciuto era quotidiano e naturale. Ho vissuto sull'Olimpo e la vita sulla terra mi era sconosciuta. Io, la mia famiglia, i nostri amici e le nostre esperienze eravamo lassù e quello giù non esisteva. È stato quando ho iniziato a lavorare che ho costruito quella scala che mi ha portato in strada e mi ha rivelato la realtà, il mondo in cui poi mi sono dovuto muovere, ma in quella Spagna autocratica, chiusa al resto del mondo, la mia vita con genitori internazionali, che viaggiavano e conoscevano il mondo, era una bolla lontana da tutto.

Cosa pensava della vita reale quando è sceso?

-Era molto più piacevole del mio, perché nel mio mondo i piccoli eventi avevano un impatto enorme e conseguenze devastanti. Tutto era amplificato, mentre laggiù le cose erano molto più semplici, meno drammatiche, una separazione sembrava molto più gestibile che nelle sfere superiori dove, come nel caso dei miei genitori, generava una tragedia enorme e sovradimensionata. Sono sceso nella Spagna della transizione, una Spagna integrata, meno classista, ed è stata una meraviglia per me.
Di tutti i luminari che hanno attraversato la sua vita come il vicino di stanza, quale ha avuto il maggiore impatto su di lei?
Guardavo Picasso, Deborah Kerr, Yul Brynner, Cocteau, Visconti... Non gli davo alcuna importanza. Non gli ho dato alcuna importanza. Una cosa molto curiosa mi è successa quando studiavo al Lycée Français, quando Pablo (Picasso) era già morto. Dovevo preparare una relazione su di lui per la Storia dell'Arte e non sapevo nulla, ma proprio nulla. Sono dovuto andare alla Biblioteca Nazionale a cercare dei libri perché a casa c'erano dei suoi disegni, ma niente su di lui come artista. Non avevamo nemmeno considerato cosa significasse. Conoscevo Pablo, ma non sapevo cosa fosse Picasso per il mondo e non potevo spiegare ai miei compagni di classe la relazione che mi legava a lui perché non ci avrebbero creduto. Questa era la dicotomia in cui mi muovevo: la mia vita non era credibile fuori di casa.






Nel libro lei è molto duro con suo padre.

-Mio padre era Dio sotto Franco. Dio. Era l'immagine del Don Giovanni che portava il suo seme a Hollywood, che faceva sfilare la sua virilità e le sue erezioni in tutto il mondo. Il regime amava questo perché era patriarcato e machismo puro e semplice. Ma mia madre era un'altra dea di un'altra religione. Era una musa del neorealismo, Antonioni, Visconti, Zeffirelli, leggeva, partito comunista, apertura, tolleranza... Era un brutale scontro di arieti, una lotta quotidiana, due mondi opposti. E il DNA si è confuso in me. Per fortuna, la Transizione mi ha raggiunto e questo ha reso possibile la mia liberazione. Non sarei mai stato la persona che ero sotto il regime, perché mi sarei reso ridicolo.

Come hai infastidito tuo padre?...

-Amavo mio padre, ma ero l'opposto di quello che lui voleva. Ho cercato in tutti i modi di renderlo orgoglioso, ma tutto quello che ho fatto, l'ho fatto male per lui. Non sono mai stato all'altezza delle sue aspettative e questo ha generato frustrazione, complessi, inferiorità, senso di colpa...Finché non ha insistito per portarmi a fare un safari in Mozambico contro la mia volontà, sono quasi morto di malaria, e quando sono uscito dal coma ho lasciato andare la corda. Tanto di cappello. Poco dopo, mia madre si è separata e per nove anni ho cancellato mio padre dalla mia esistenza. Non l'ho mai visto una volta.

Tua madre, Lucía, invece, la ritrai come la diva ideale.

-La parte migliore della vita di mia madre è stata quando si è separata da mio padre. Ha riconquistato la sua vita, i suoi amanti, la sua carriera, la sua indipendenza. E poi, con il suo controllo, si è riavvicinata a mio padre e questo ha portato a una riconciliazione tra tutti noi. Negli ultimi 30 anni di vita di mio padre, il nostro rapporto è stato improvvisamente splendido. Abbiamo riso, c'è stata complicità, abbiamo persino condiviso le fidanzate.

Letteralmente?

-Sì, sì, eravamo persone molto aperte. Alla fine, lui ammirava molto il fatto che ero diventato quello che ero senza mai chiedergli nulla. L'unica persona che non gli aveva mai chiesto soldi o aiuto era suo figlio. Questo lo fece vergognare molto del modo in cui mi aveva trattato quando ero bambino. Si sentiva molto in colpa. Ma grazie a questo,  io so come affrontare le cose, non sono rimasto nella modalità del facile bambino viziato e non mi sono lasciato mettere in ombra.

Quante volte hai rischiato di morire?

-In punto di morte o quante volte hanno voluto uccidermi?

Entrambi contano.

-Sull'orlo della morte, quattro. Con la malaria, un incidente d'auto e altre due malattie. Non ho contato quelli che volevano uccidermi, sono troppi.

E al tempo della droga e della vita selvaggia?

-No, avevo più controllo di quello che la gente dice. L'ho lasciato fuori da questo libro, ma non perché voglio nasconderlo, ma perché stiamo per fare una serie TV ed è un'epopea molto visiva con una colonna sonora, quindi è una parte delle mie memorie che trovo più facile da vedere che da raccontare.

Seriamente, Miguel, per uno che ha provato tutto, cosa lo spaventa di un vaccino?

-Niente, non mi spaventa, semplicemente non ci credo.

Ti ha fatto male vederti ritratto in questi mesi come una specie di pazzo illuminato?

-No, perché non è un mio problema. Non mi colpisce, non mi tocca, davvero. Se avessi prestato attenzione a quello che dice la gente, non avrei mai potuto sviluppare il carattere  o la persona che sono. Ho detto quello che avevo da dire, la mia verità, e ho difeso la mia libertà di espressione, che è un diritto fondamentale e basilare. Se qualcuno la pensa diversamente, vada avanti, bene. Ma se qualcuno cerca di censurarmi, non ci riuscirà, non ha un coltello per tagliare quest'uomo. Quello che è successo è che abbiamo raggiunto un momento, con un contesto politico molto teso e un'intrusione nei diritti del cittadino. I politici, i media e gli altri poteri pensano che io sia di loro proprietà, che possano dettare il modo in cui pensiamo, il modo in cui siamo e il modo in cui agiamo. E chiunque esca dalle righe, come è successo a me, viene attaccato. Cercano di metterti a tacere e di riportarti all'ovile. Quello che propongono è la perdita delle libertà fondamentali. Fino a questa situazione, credevo che si potesse continuare ad esprimere liberamente la propria opinione, ma ora si scopre che non è così. Si può, ma certe opinioni possono essere attaccate.
Si può, ma certe opinioni possono essere irresponsabili.
Perché? Perché è un crimine esprimere un'opinione? Non voglio che qualcuno pensi come me, ma non voglio nemmeno essere costretto a pensare come loro.

C'era qualche provocazione nella sua posizione?

-Nooooo. Non ho mai voluto provocare, sono le persone che vogliono essere provocate e cercano i personaggi, le cause e le opinioni che permettono loro di essere così. Può essere quello che dico sui vaccini o il canto di un passero alla stazione di Atocha. Non importa. Se è predisposto per farti arrabbiare, quel passero è un figlio di puttana. Dobbiamo ribaltare la situazione. La differenza è bella, è naturale ed è pura. Non tutto può essere una provocazione. Guarda, a questo punto non faccio nemmeno una piega. Ho vissuto una vita con i suoi momenti buoni e cattivi, come tutti, ma che sono grato di aver vissuto. Non c'è niente di più terribile di una vita insipida, e la mia certamente non lo è stata.


















































































sabato 6 novembre 2021

"...sí...pero ¡Qué valiente! " El hijo del capitán trueno!! Esce come anticipazione, un capitolo tratto dall'autobiografia di Miguel Bosè

QUESTO BLOG è un diario, e in quanto tale riporta, sì ,le novità sull'artista Miguel Bosè ma anche riflessioni della sottoscritta o idee suggeritemi da articoli, persone... 

 





















Credo che il capitolo che è stato diffuso come anticipazione-promozione del libro autobiografico di Miguel sia molto forte, toccante, crudo e  a tratti direi crudele... Tuttavia NON è stato diffuso per discreditare il torero padre, quanto, piuttosto, perché dal racconto si evincono dettagli significativi del carattere di Miguel .

Il RISPETTO che ha sempre avuto verso questo genitore , la COMPRENSIONE che fosse un uomo di 'quell'epoca' ,forte e impavido come torero ma con un tipo di 'cultura' troppo diversa da quel bambino di 9-10 anni che già sapeva che 'fuori di lì' c'era un Mondo da scoprire...e lo sapeva LEGGENDO E STUDIANDO.





















Miguel desiderava compiacere questo padre-padrone ma era CONSAPEVOLE di dover , ahimè, subire alcune cose e gioco-forza, allontanarsi da lui e seguire la propria strada. 

Non è dunque un racconto "pietistico" , ANZI!...

Se il Capitán Trueno/torero Domiguin è colui che affrontava i pericoli, si gettava in avventure, voleva essere una sorta di giustiziere, EL HIJO -il figlio Miguel -"venne fuori poeta e non una fiera/Figlio di sua madre/Il figlio del Capitán Trueno/Non volle mai essere marinaio/non si imbarcava in avventure/Sollevava dubbi/Il figlio del Capitán Trueno/Aveva qualcosa che lo distingueva/Diverso come qualcuno/Che non si era mai visto. (recita il testo del brano che dà il titolo alla biografia) . 

E,SOPRATTUTTO ,"Il figlio di Capitan Trueno aveva almeno un anello per dito/ e in ogni orecchio un orecchino, sì....ma che coraggio! /Il figlio di Capitan Trueno aveva una reputazione e un aspetto molto strano/e faceva vedere a tutti che non era una cosa negativa".

Sí...pero ¡Qué valiente! Ecco il  CORAGGIO, nel far fronte a tante difficoltà, essere considerato strano dal proprio padre e da altri solo perchè "fuori dalle righe" o diverso da come "bisognava essere"!!



Un uomo LIBERO, fin da bambino, forte e coraggioso nell'accettare di essere anche vilipeso ma non succube, così come ha poi dimostrato negli anni.

Questo penso io e questo vuol dire, sia il capitolo pubblicato, sia, probabilmente, tutta l'autobiografia che aspettiamo di leggere.




QUI L' ANTICIPO della BIOGRAFIA IN USCITA IL 10 NOVEMBRE 

Miguel Bosé e la battuta di caccia in Africa in cui per poco non morì: un'anteprima delle sue memorie

Infobae pubblica un capitolo de "El hijo del capitán trueno", di Editorial Espasa, in cui il musicista e attore racconta il difficile rapporto con suo padre, il torero Dominguín

Una passeggiata per Somosaguas

Da quando avevo sette anni, quasi tutti i fine settimana con il bel tempo, montavamo i cavalli e davamo lezioni nella scuola di equitazione nel terreno accanto, dove più tardi avrebbe vissuto la famiglia Sainz, con l'istruttore di equitazione Santiago Alba, che, oltre ad essere un allenatore, si occupava dei cavalli dello zio Manolo Prado, quelli che cavalcavamo noi, e del mio appaloosa, Tiberio. Dargli quel nome è stato un vero successo. Quando mio padre mi chiese chi fosse Tiberio, facendo uno sforzo immenso per vincere la sua imponenza  e la mia timidezza, gli dissi che Tiberio fu il secondo imperatore di Roma della dinastia Giulio-Claudia, che riformò le leggi militari del suo tempo, bla, bla, bla.... E mentre gli raccontavo la storia, mio padre, sbalordito e incapace di staccarmi gli occhi di dosso, mentre gli raccontavo quanto erano belle le ville che lui costruiva sull'isola di Capri, dove mia madre amava tanto andare, mi interruppe con: "Basta così, ragazzo mio, da dove prendi tutte queste conoscenze?

-Mi hanno detto che lei legge molto, vero?

-Sì, papà, mi piace molto leggere.

-E da dove vengono tutti quei libri? Dalla libreria in salotto, vero?... Lo sai che è proibito andare in salotto?... Lo sai che leggere tanto fa male?... Non ti piace di più andare a cavallo?

-Anche... ma un po' meno.

-E la caccia? Perché non ti piace la caccia? Se non ti piace la caccia, o la pesca, o nessuna di queste cose... dimmi tu quando sarò con mio figlio... Ti deve piacere, Miguelón!... Devi farmi il favore di piacermi o comincerò a pensare che non sei mio figlio... perché da me... per ora, per quanto ne so... non hai preso nulla da me... Senti, Miguelón... gli uomini devono fare le cose degli uomini tra uomini... come le donne fanno le loro tra di loro, capisci? .... Andare a cavallo, andare a caccia, pescare e più tardi altre cose di cui ti parlerò... Non vedo l'ora che arrivi il tuo dodicesimo compleanno per poter fumare la tua prima sigaretta.... L'anno prossimo... se ti alleni con il fucile molto, molto bene... Ti porto a fare un safari per un mese intero, io e te da soli, nella giungla dell'Uganda o del Mozambico... Ti piace l'idea?... Vedrai come ci divertiremo a sparare e cacciare gli animali!... E a fare il bagno in fiumi pieni di coccodrilli e ippopotami!... Ecco, che ti piaccia o no... farò di te un uomo, ma dai... come se fossi tuo padre!

Quando si rivolse a mia madre per il nome del cavallo, le disse, molto preoccupato: "Lucía, mi hanno detto che il ragazzo legge, che legge molto, senza sosta, e che sta sveglio fino alle ore piccole del mattino sotto le lenzuola con una torcia, e poi si addormenta in classe". E mia madre gli chiese che problema c'era se leggevo, e lui rispose: "Finocchio, Lucía, il ragazzo diventerà un finocchio... Di sicuro!

Mia madre non riusciva a capacitarsi che suo marito, essendo tutto ciò che era, una figura internazionale dalle maniere squisite, fosse così poco evoluto in certe questioni fondamentali e vitali. Pensava che fosse retrogrado e molto rozzo, per non dire macho.

-Lascialo leggere quello che vuole, Miguel.... Non vuoi che studi e diventi un avvocato... Bene, cominciamo a leggere!

Senza averla ascoltata e annodandosi la cravatta, annunciò che mi avrebbe portato con lui nel suo prossimo safari, e mia madre rispose che non c'era modo, doveva passare sul suo cadavere, che avevo solo nove anni e che mi conosceva bene e che non c'era niente che mi spaventasse tanto quanto sparare, uccidere animali, anche qualsiasi tipo di insetto, dalle mosche alle zanzare, e che, inoltre, ero un pauroso.

"Il ragazzo non è nato per cose così rudi, è più propenso a usare la testa che a fare ginnastica", e, in effetti, aveva ragione. Ma l'anno successivo, quando avevo dieci anni, siamo andati a fare un safari in Mozambico per un mese intero, ignorando tutti.

Era la metà di giugno del 1966. Ci siamo imbarcati da Madrid a Lisbona la mattina e, prima di partire, a casa, mia madre mi ha dato un quaderno e una penna perché potessi tenere un diario di tutto quello che vedevo nella giungla (animali, paesaggi, persone, ecc.) e di quello che ci succedeva (avventure, osservazioni, storie di campagne...). Mi chiese di riportarglielo, come regalo per lei, e me lo fece promettere.

C'era molta tristezza e rabbia sul suo viso, un'espressione che non mi era familiare. Mi ha abbracciato come sapeva che mi piaceva da molto tempo, e io l'ho abbracciata, non volendo lasciarla andare. In quel momento avrei voluto che lei avesse affrontato mio padre e gli avesse detto che aveva cambiato idea e che nessuno avrebbe preso suo figlio. Sentivo che aveva paura, che non si fidava di lui. Mi guardò a lungo negli occhi e, tenendomi il viso tra le mani, disse: "Andrà tutto bene, Mighelino, andrà tutto bene", e io la abbracciai di nuovo.

La Tata mise dei dolci e un santino del Cristo di Medinaceli, la sua devozione, a cui mi aveva affidato. Chiese a mio padre di nutrirmi bene e di difendermi dai leoni e dalle altre bestie, e lui rispose che era esattamente quello che mi portava a fare, disse, a cacciare per il mio cibo e a imparare a difendermi da tutto, che circondato da tante donne non sarei mai diventato un uomo e avrei finito per essere una coccinella (un frocetto) .

La Tata sapeva che la sua frase non era una boutade, ed era così irritata che minacciò di maledirlo fino alla fine dei suoi giorni se mi fosse successo qualcosa. Era molto preoccupata.

Alla fine il dottor Manuel Tamames consegnò a mio padre una bottiglietta con delle minuscole pillole e gli spiegò che si trattava di chinino e che dovevamo prenderne una ogni quindici giorni, cioè solo altre due oltre a quella che dovevamo prendere quando siamo saliti sull'aereo, tre in totale, e "non dimenticare Luis Miguel, sono contro la malaria, e non mi importa se tu non le prendi, ma dalle religiosamente al bambino o ti uccido". "Sì, sì, non preoccuparti Manolo, non lo dimenticherò, come potrei dimenticarlo, non sono così irresponsabile", gli assicurò mio padre. "Ti avverto, se il bambino si ammala, morirà, e sono molto serio, morirà. E lo guardò dritto in faccia, senza fare battute.

Appena saliti sull'aereo, mio padre si è messo le pillole in tasca e non so cosa ne abbia fatto, ma non me ne ha mai date. A Lisbona ci aspettava Simoes, il cacciatore professionista che accompagnava mio padre in tutti i suoi safari. Era un portoghese mozambicano con occhi chiari, capelli ondulati e una testa molto grande. Era gentile e sempre di buon umore. Mi disse che si sarebbe preso cura di me e che nelle battute di caccia avrei dovuto stare con lui, senza mai seguire mio padre perché era un po' pazzo.

Mio padre dormiva profondamente dal decollo, e dopo non so quante ore e ore assordanti e infinitamente noiose, siamo finalmente atterrati a Lourenço Marques, l'allora capitale del Mozambico. Le paure che mi avevano accompagnato da quando avevo lasciato Madrid, e che mi avevano tormentato la testa durante tutto il volo, sono scomparse non appena siamo atterrati in Africa.

Era il mio primo grande viaggio, probabilmente il più lungo che potessi ricordare di tutti i viaggi che avevo fatto cavalcando sul dorso del mio dito attraverso gli atlanti della mia collezione: Africa e Oceano Indiano! I miei sogni cominciavano a realizzarsi.

Durante quel mese siamo stati in tre campi diversi. Una nella giungla, circondata da paludi, una nella savana e l'ultima improvvisata e allestita sulla riva di un fiume. Nel primo, mio padre cercò di farmi iniziare alla virilità da una bella ragazza indigena di sedici anni, con occhi bianchissimi che brillavano alla luce del fuoco dal profondo del suo nero. Simoes glielo tolse dalla testa dicendogli che non era il caso che, per qualche sciocchezza, il ragazzo finisse per prendere qualche malattia, che gli indigeni erano immuni a tutto ciò che noi non eravamo. Ma siccome mio padre insisteva a fare lo spiritoso, Simoes suggerì di andare con la ragazza per vedere se aveva il coraggio, e mio padre, che non era da sfidare nelle questioni femminili, la prese per un braccio e la portò nella sua capanna. Simoes si sedette accanto a me e nel bagliore delle fiamme cominciò a raccontarmi antiche storie di cacciatori, affascinanti e prodigiose, per distrarmi dagli affari urlanti che occupavano mio padre. Immediatamente, sapevo che mi avrebbe protetto, lo sapevo nel mio piccolo cuore. Queste storie hanno inaugurato il mio "Diario dell'Africa".

Qualche giorno dopo andammo a caccia di ippopotami, e siccome non riuscivo ad avere piede in quelle paludi, fui portato sulle spalle di un facchino fino alla capanna dove fui sistemato tra le canne. Durante il tragitto, le mie gambe, che dalle ginocchia in giù erano sempre in acqua, erano afflitte da sanguisughe, a decine, appese come frange che non mi accorgevo nemmeno mentre mi si attaccavano. Sono stato morso da molte zanzare, molte e di tutte le dimensioni, ed è stato lì che ho sicuramente preso  quella che oggi è conosciuta come malaria.

E senza una pillola di chinino, che mio padre non mi diede per negligenza e dimenticanza, la malattia si incubò lentamente e a metà del secondo campo, dove incrociammo zia Paquitina e zio Fausto, i Blasco di Madrid, anche loro in safari, ero già visibilmente malato. Avevo un aspetto così brutto che la zia Paquitina disse a mio padre: "Luis Miguel, questo ragazzo ha una brutta faccia, cos'ha? Senza dargli molta importanza, ha risposto che "il ragazzo non si adatta a quello che mangiamo qui, non smette di vomitare, e se continua così si ammalerà, gliel'ho già detto". "Gli stai dando il chinino?" "E mio padre disse di no, che era un finocchiata inutile, e zia Paquitina rispose la stessa cosa che aveva detto il dottor Tamames a Madrid, che se non voleva prendere le pillole, dipendeva da lui, ma che doveva darle al bambino o sarebbe morto prima di tornare in Spagna.Al che mio padre chiuse la discussione rispondendo che quello che avevo non era malaria ma mammite, e che o mi sarei svegliato o non mi avrebbe riportato al safari. I Blasco lasciarono il campo seriamente preoccupati, con una terribile angoscia nel cuore, ma la cosa finì lì.

Nelle spedizioni quotidiane, camminavamo tutti in fila indiana per lunghe ore sotto il sole cocente e stavamo molto attenti a dove mettevamo i piedi. Molto presto, le escursioni sono diventate sempre più difficili per me, ma non ho mai protestato, non volevo deludere mio padre. Finché su uno di essi sono crollato, sudato e tremante, bianco e freddo come il gesso. Ricordo di aver socchiuso gli occhi e di aver visto mio padre in piedi accanto a me, in controluce, che mi ravvivava con la punta del suo stivale e mi diceva: "Dai, non fare la femminuccia, alzati e cammina come un uomo e smettila di essere stordito o scoprirai cos'è un vero uomo dallo schiaffo che ti darò, e basta con queste sciocchezze". Mi gettò sprezzantemente il suo cappello sul viso per ripararmi dal sole, o almeno così capii che diceva, e girando i tacchi lo guardai allontanarsi, scontento e con la pazienza esaurita. Ho pensato che forse, non dandosi un trofeo, lo stava perdendo. Ma non lo era. L'aveva persa per me. L'aveva persa per me.

In quel preciso momento, ho rinunciato definitivamente. Ho capito che non sarei mai stato all'altezza delle sue aspettative, che non sarebbe mai stato fiero di me perché ero debole, che non mi avrebbe mai amato, che non ero il figlio che si aspettava che fossi, e lì, a dieci anni, sdraiato in mezzo all'Africa, ho deciso di non sforzarmi più. Mi sentivo molto male, molto triste, molto solo, molto malato e ho gettato la spugna, non potevo sopportarlo. Simoes si è chinato, mi ha sollevato da terra, mi ha portato in braccio e non ricordo altro.

Il giorno dopo, come se nulla fosse successo, mio padre mi svegliò e mi obbligò a continuare. Un ramo allentato di un albero di biancospino selvatico ha agganciato la mia palpebra destra con una delle sue spine e l'ha strappata fino a farla pendere da un filo di pelle. Accecato dal sangue, sono andato nel panico e mio padre era furioso. Mi ha fatto rattoppare rapidamente, cosa che il cacciatore non si aspettava. Per rassicurarmi, disse: "Non preoccuparti, solo il novantanove per cento delle personea cui succede questo, muore" e, ridendo a crepapelle come fosse una cosa divertente, si mise a sedere e mi ordinò di continuare. Le mie forze erano già al di sotto dei limiti e Simoes, che cominciava a perdere la calma e a disgustarsi con mio padre per il modo in cui mi trattava, chiese al più forte del gruppo di portatori di dividere il suo carico tra gli altri e di occuparsi solo di me. Mi aggrappai al suo collo e, sfinito dal calore e dalla debolezza, cominciai a vaneggiare.

Ma le disgrazie si susseguivano una dopo l'altra e non c'era fine. A causa della diarrea violenta che mi occupava tutto il giorno, ho cominciato a disidratarmi e sono diventato il rompiscatole bisognava dare acqua bollita  con sale e zucchero o altri infusi di erbe che i nativi conoscevano per frenare le febbri sempre più alte. Durante uno dei viaggi alla latrina del campo, un buco scavato nel terreno sopra il quale ci si accovacciava e che non veniva coperto di terra fino a quando non era pieno per aprirne uno nuovo accanto, sono stato morso da uno scorpione e per alcuni giorni sono stato sotto morfina. Ho ringraziato il cielo e il Cristo di Medinaceli che l'alleanza tra il veleno dell'insetto e quella medicina che mi ha reso così delirante, mi ha dato una tregua, un sollievo temporaneo in mezzo a tanto malessere costante.

Al terzo accampamento, allestito all'ombra di un albero dai rami larghi, sulle rive di un fiume, non ricordo se improvvisamente mi sentii un po' meglio o se il mio corpo trovò il modo di convivere per un po' con la malattia, ma senza preavviso, avevo abbastanza forza per continuare la spedizione che ci doveva portare al grande trofeo, l'elefante, allo stesso ritmo e senza l'aiuto di nessuno.

Mio padre non ha nemmeno notato il miracolo. Ormai si era pentito da tempo di avermi portato al safari, mi considerava una seccatura e me ne faceva pentire ogni giorno. Smise di prendersi cura di me e passò l'onere a Simoes, che si preoccupò delle mie condizioni in modo quasi ossessivo. Per mio padre, ho cessato di esistere.

Se mi parlava, era per darmi un ordine. Sono diventato il suo figlio invisibile e ricordo di aver pianto fiumi e fiumi desiderando di poter tornare a casa. L'unica cosa che mi legava a lei e a mia madre, che mi mancava disperatamente, era il mio "Diario d'Africa", in cui avevo deciso di limitarmi a raccontare storie di caccia e di campeggio. Non ho mai osato scrivere di quanto stessi soffrendo, di come venivo trattato da mio padre, per non parlare della mia malattia. Avevo il terrore che mia madre lo scoprisse leggendolo e che quando sarebbe tornata ci sarebbe stato un litigio o una discussione a causa mia. Era qualcosa che non volevo.

Ma ho contato i giorni che restavano e, a una settimana dalla fine, ho fatto del mio meglio e mi sono detto:"Dai, dai, Miguel, non ci vorrà molto prima che Tata ti curi e tu possa fare un bel bagno caldo. Questa era la mia motivazione.

Siamo andati a caccia di elefanti e ci siamo imbattuti nel branco in cui mio padre ha finalmente trovato il suo trofeo. Nonostante la nostra furtività, il vento ha improvvisamente virato, facendoci scoprire, e la matriarca, che era alta come un palazzo, ci è venuta addosso, sbattendo violentemente le orecchie, spazzando come una pazza e sollevando una terribile nuvola di polvere che ha energizzato il resto del gruppo.

Eravamo a poco più di cento metri quando ci caricò a tutta velocità e Simoes gridò a mio padre di mirare alla testa, ed entrambi cominciarono a sparargli con proiettili ad espansione che non penetrarono a sufficienza nel cranio, ma all'impatto aprirono grandi buchi da cui sgorgò sangue, come fontane. Mi ha ucciso il dolore nel vedere quell'animale che lottava per proteggere il suo branco con la vita, in piedi ma morente. Mi ha fatto a pezzi.

Ho iniziato a correre nel sottobosco senza voltarmi, e quando i portatori hanno raggiunto la macchina, ero già dentro, accovacciato sotto una spugna. È questo che fa la paura, ti dà le ali. Pochi secondi dopo, anche mio padre e Simoes arrivarono di corsa,pallidi come fantasmi, e appena saliti in macchina, ci mettemmo in moto e fuggimmo. Sarebbero venuti per il pezzo, si dicevano, "ma prima lasciatelo morire dissanguato". Lascia che si dissangui...

Il divario tra il mio dolore, o chiamiamolo rabbia, e il confine del mio affetto per mio padre diventava ogni minuto più ampio e profondo. Potevo sentirlo scricchiolare, diventando scuro e di un disprezzo  abissale  .

Mentre sobbalzavo sul retro del SUV, di nuovo attraverso la savana, l'ho guardato fumare, frustrato. Aggrappato a un manubrio che non gli rispondeva, che non poteva controllare, per la prima volta mi sono sentito estraneo a lui, perso nella solitudine che meritava.

Quando arrivammo al campo base, i leoni avevano distrutto tutto, e quelli che erano rimasti a occuparsi di lui erano sugli alberi, spaventati a morte. Gridavano, sconvolti, che non c'era niente da fare, che c'erano otto grandi adulti tra maschi e femmine, e che non avevano altra scelta che salire e lasciarli fare. Avevano strappato le tende, le avevano buttate giù, avevano sparso le provviste, spaccato le lattine con le loro zanne, mangiando quello che potevano. Dopo il caos, che è durato per ore, se ne sono andati.

Così, per i giorni restanti, Simoes, mio padre ed io dormimmo chiusi in uno dei furgoni, armati fino ai denti. Il resto della spedizione pendeva dai rami.

Come cibo, abbiamo ucciso serpenti, uccelli e un grosso topo di fiume molto saporito, che è stato cotto sul fuoco, abbrustolito e infilzato su un bastone. Una notte, mentre stavamo raschiando le ossa di qualche insetto per ricavarne la carne, mio padre mi annunciò, senza guardarmi, che il giorno dopo saremmo tornati a Madrid e, ovviamente, non riuscii a chiudere occhio.

Prima dell'alba abbiamo lasciato il campo, poi la base centrale dell'agenzia, la giungla e le savane, i fiumi, le paludi, le zone umide e le mandrie di bestie, poi l'aeroporto, la pista, Lourenço Marques dall'alto, l'Africa infinita, e infine, dal finestrino dell'aereo, ho visto Lisbona, l'ultima tappa. Poche ore dopo siamo atterrati a Madrid dopo un viaggio infernale e angosciante durante il quale sono diventato ancora una volta debole, sudato e tremante di febbre, e né il vomito né la diarrea mi hanno mai lasciato. Mio padre ha dormito per tutto il viaggio di ritorno, e prima di coricarsi ha chiesto a una hostess di tenermi d'occhio per sicurezza.

Il disprezzo con cui mio padre mi trattava mi paralizzava. Era un'energia che mi tirava indietro, come un artiglio che mi spingeva sdegnosamente via da tutto. Aggiungete la profonda delusione, l'imbarazzo e il fastidio che gli stavo causando.

In quel viaggio sembrava rendersi conto definitivamente che non poteva fare nulla di me, nemmeno qualcosa che potesse assomigliare al più ritardato dei suoi geni. Mi ha scartato. Gli avevo dato  panico.

Nella sala arrivi dell'aeroporto di Barajas, mia madre ci stava aspettando. Non dimenticherò mai la sua espressione quando mi ha visto. Era devastata.

Non ho avuto la forza di correre ad abbracciarla. Sono partito per il Mozambico pesando una trentina di chili e quello che mi è tornato indietro non era nemmeno una quindicina. La mia pelle si è attaccata alle ossa come un bambino del Biafra. Giallo come la bile, con le labbra screpolate ed enormi cerchi viola sotto gli occhi che pendevano da due occhi infossati e brillanti, portavo i pantaloncini legati in vita con un pezzo di spago che dovevano avermi dato lì, in qualche campo, perché non cadessero. Ero già gravemente malato. Mia madre andò in preda all'angoscia e all'ansia.

Mentre mio padre, dall'impeccabile portamento dei fogli, svolgeva i suoi compiti di pubbliche relazioni e distribuiva sorrisi, autografi e dichiarazioni ai giornalisti che venivano ad incontrarlo su consiglio di Don Servando, mia madre mi metteva in macchina e mi portava subito a casa, piantando in asso lì il torero.Non mi ha chiesto come stavo, non sembrava felice di vedermi, mi ha solo chiesto come mi sentivo, mi ha detto che tutto sarebbe andato bene e ha continuato a dire a Teodoro, l'autista, di premere sull'acceleratore. Era fuori di testa e molto spaventata. I miei occhi si chiudevano sotto il peso della stanchezza e quando li riaprivo, ero già rimboccato nel letto con panni freddi sulla fronte, sui polsi e sulla gola, che Tata continuava a rinnovare con l'acqua di due catini.

-Come ti senti, Miguel? -ha chiesto.

-Sono a casa, vero, Tata?

-Sì, figliolo, sei a casa..... Ora riposa e dormi più che puoi, starai bene.

Per la prima volta in un mese, mi sono sentito al sicuro. La mia fame era completamente sparita e la mia sete era inestinguibile.

Non potevo sopportare la luce, così le tende sono state tirate e per i giorni successivi ho vissuto nell'oscurità. Di tanto in tanto, socchiudevo le palpebre e sulla sedia accanto al mio letto si alternavano mia madre e Tata, a piedi con la febbre. Ho sentito delle conversazioni in sottofondo.

-Reme, ci sono state notizie del dottor Jaso?

-Niente, signora... Il signore sta rimescolando Roma con Santiago, ma non c'è traccia di lui.

-Beh, se non si sbriga....

-Stai zitto, per l'amor del cielo!... Non succederà nulla al bambino... L'ho chiesto al Cristo di Medinaceli... Ogni mattina scendo a Madrid per la prima messa e lo prego... Gli ho fatto una promessa... che appena sarà guarito porterò l'abito per un anno intero... e non perderò la fede... Lei lo salverà, signora... sarà guarito, vedrà.

Entrambi hanno pianto molto. Mia madre non si fermava, andava da un posto all'altro e ogni volta che parlava al telefono, urlava e malediceva. Dormivo e vomitavo, a volte sangue, e in uno di questi, seduto mentre bevevo, sono caduto all'indietro in preda alle convulsioni e sono diventato inerte, come morto. Ero entrato in coma.

Non so quanto tempo sono rimasto in quello stato, nessuno se lo ricorda bene. Alla mia famiglia sarà sembrato un secolo, a me non più di dieci minuti.

Per prima cosa ho sentito che tutto era molto leggero e fresco, non mi faceva male niente, non avevo nessun fastidio, la nausea e la debolezza erano sparite. Poi ci fu una luce onnicomprensiva, una luce molto luminosa, bianca, trasparente e fredda. Sapevo che questa era la strada che dovevo percorrere e ho cominciato a percorrerla. In poco tempo mi sentii libero da ogni paura e invaso da una felicità che, in realtà, non potrei chiamare così. Era uno stato nuovo, assoluto e così bello, che ho cominciato a dire a me stesso: "No, Miguel, devi andare a dirlo alla mamma e a Tata, devi condividere tutto questo, è troppo bello, devi dirglielo". E ogni volta che me lo diceva, sentivo una forte attrazione. Continuavo a ripetere quella frase all'infinito, come un mantra, forse centinaia di volte, insistendo, ferma e determinata, mentre la bellezza di quella sensazione cercava di trascinarmi con una forza irresistibile che ti fa venir voglia di rinunciare. Improvvisamente ho aperto gli occhi e li ho visti tutti in piedi, circondando il letto. Tata si gettò le mani sulla bocca e scoppiò a piangere, e mia madre la seguì. Anche le mie sorelle, che non avevo visto dal mio arrivo, stringendo Rosi. Anche il dottor Tamames, la sua amica Marita e il dottor Jaso, il nostro pediatra, hanno pianto, abbracciandosi e congratulandosi a vicenda. Jaso ha esclamato:

-Ti ho detto... ti ho detto... Te l'ho detto... è la malaria... è la malaria!

Alla fine accadde che, dopo un dispiegamento in cui mio padre, minacciato da tutti e con il conto alla rovescia che si avvicinava alla fine, tirò in ballo le sue più alte influenze, tra cui il Generalissimo, il dottor Jaso il miracolato, che era in crociera alle Baleari, fu localizzato e portato a Madrid con l'aereo privato di un amico. Ci volle molto tempo, ma alla fine lo trovarono.

Dopo la prima dose di una forte dose di chinino, le febbri hanno cominciato a diminuire rapidamente e ho cominciato a rimettermi in piedi.

Durante lo stesso anno in cui La Tata stava adempiendo il suo voto al Cristo di Medinaceli, il dottor Tamames ritirò la parola al torero per la sua assoluta mancanza di responsabilità e iniziò il suo disprezzo per l'essere umano senza mai perdere la sua venerazione per il maestro.

La convalescenza è stata lunga e mi hanno prelevato tutti i litri di sangue che potevano per le analisi fino a quando sono stato dimesso. Anche così, sono rimasto debole per molto, molto tempo. Tutte queste malattie, quelle serie e gravi, ti lasciano dei postumi per il resto della tua vita. Anche mio padre si ammalò nello stesso periodo in cui lo feci io, ma si rifugiò a Villa Paz per non dover portare altri sensi di colpa e vergogna. Si è curato da solo, come mi disse più tardi, perché come sai, quegli insetti conoscono il pericolo di entrare nel corpo di un torero. La verità? Mia madre l'ha buttato fuori di casa appena è arrivato dall'Africa e gli ha detto che non voleva vederlo per il resto della sua vita, e che se fosse successo qualcosa al ragazzo, gli avrebbe sparato due volte. L'altra verità? Che non si è guarito da solo. Sua cugina Mariví, la Poupée, lo aspettava alla fattoria per prendersi cura di lui.

Ho passato il resto dell'estate su una sedia a rotelle, coprendomi e scoprendomi con delle coperte, mentre le febbri persistenti andavano e venivano, all'ombra del bambù. Il virus che aveva preso la residenza nel mio fegato, ben conservato, era un'altra delle sfortunate eredità che avevo ricevuto da mio padre.




mercoledì 3 novembre 2021

A BREVE LA VERA AUTOBIOGRAFIA DI MIGUEL BOSE' ! USCITA 10 NOVEMBRE

MANCA POCO ALL'USCITA ! 10 novembre 2021

di Miguel Bose  (Autore) - Editorial Espasa





















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La fama di Miguel Bosé è tale che la maggior parte di noi lo considera una vecchia conoscenza. Qualcuno di cui pensiamo di sapere tutto e che, secondo noi, è molto difficile da sorprenderci. Tuttavia, se c'è una cosa per cui l'autore ha un talento straordinario, e lo ha dimostrato fin dall'inizio della sua carriera, è quella di polverizzare i pregiudizi.

Tutti i lettori che si sono chiesti quando hanno visto questo libro: "Cosa puoi dirmi che non so?" rimarranno rapiti dalle prime pagine (e che pagine!) di una storia, la sua, che inizia con il respiro di favole senza tempo: figli perduti in balia di un padre onnipotente, abituato alla sua volontà legge, e una travolgente madre di leggendaria bellezza.

Generoso e audace come non lo abbiamo mai visto, l'autore ci offre il volto meno noto di personaggi memorabili, da un Picasso vulnerabile e crepuscolare, al bellissimo e maledetto Helmut Berger. E, destinata a rimanere con noi molto tempo dopo la chiusura del libro, la Tata, autentico spirito benefico, che ci ricorda donne coraggiose disposte a tutto pur di proteggere creature indifese.

Una storia che si svolge nel paese del nostro passato, che attinge ai ricordi della nostra infanzia e giovinezza e che dimostra, ancora una volta, che nella contraddizione, nel dolore e nella gioia di vivere, Miguel Bosé ci capisce, ci accompagna e ci rappresenta.