C'è tanto Bosé ma...anche qualche gradevole e simpatico aspetto di 'Miguel'...
La casa di Miguel Bosé
(Panama, 1956), in Somosaguas, a nord ovest di Madrid, è un bunker
di cemento piena di dipinti su vetro, maschere, figure e gabbie con
uccellini cinguettanti. A prima vista, sembra più lo studio di un
artista plastico che di un famoso cantante pop. "Sono un
artista. Io vivo nel mondo dell'arte e delle idee. E i grandi spazi
sono buoni per far viaggiare le idee ", dice il figlio del
torero Luis Miguel Dominguín e dell'attrice Lucia Bosé, seduto su
un divano. E' un pomeriggio mite, tranquillo in questa parte della
capitale e, soprattutto, in questa casa, circondata da aree verdi e
un giardino, dove un enorme figura di Hulk, The Green Man, rimane
stoico, a pochi passi, come testimone della conversazione.
-Bosé ha appena compiuto 59 anni, capelli lunghi ben raccolti,scarpe da ginnastica, tuta di colore nero, la forza e la freschezza contro il passare del tempo, l'ambiguità dilagante, il buonumore e la cortesia in contrasto con la sua reputazione di scontroso – racconta tra comodi cuscini che sta per iniziare il suo tour Amo Tour. Presto andrà in Messico per poi passare ai concerti in Spagna il 20 giugno, dove si esibirà in una dozzina di città. L'anno scorso è uscito il suo ultimo album, AMO (Warner) e con la sua canzone Libre ya de amores ha scatenato ancora una volta l'interesse dei suoi fan. In questi giorni è impegnato nelle prove del nuovo spettacolo, arricchito da luci robotiche, video e uno scenario mutevole ", con un' energia maggiore di quella che avevo a 25 anni", dice il figlioccio di Luchino Visconti e il padre ("padrazo") di quattro figli (Diego, Tadeo, Ivo e Telmo).
D: Ho letto diverse interviste fatte a
proposito e, francamente, ho avuto la sensazione che chi le prepara
sia tu ...
R- Le interviste!? E perché ?!Guarda: non ho
tempo per questo. Oggi mi hanno in radio cui non sono riuscito a
rispondere. Ci sono domande che al momento non sei preparato a
rispondere. Quello che faccio è cercare di dare una risposta
soddisfacente per ognuno di voi giornalisti e, soprattutto, diversa.
A volte mi fanno tutti la stessa domanda ed evito di dare una
risposte uguali.
D: Come mai continui a fare tanti dischi se il
pubblico nei concerti ti chiede di cantare le tue canzoni classiche?
R: Hai assolutamente ragione. Vediamo: Io scrivo
per necessità, compongo nuove canzoni che voglio condividere con la
gente. Oggi c'è un'altra possibilità: far passare canzoni in rete,
regalarle alla gente e poi fare concerti. Il repertorio del tour di
Amo ha un terzo di canzoni nuove e due terzi abbondanti con canzoni
del passato che la gente vuole ascoltare, perché gli appartengono,
perché sono già sue. E non ammettono che non le canti. Bene, le
cantano loro e poi si applaudono mentre gli sto davanti, eheheh...
però hanno ragione: si canta qualcosa di nuovo e poi il resto.
Perché la gente le ascolta. Potrebbe anche capitare che, col passare
del tempo, le canzoni nuove assumeranno lo status di “classiche”
e chiederanno anche quelle.
D: In questo disco, la tua voce è più
elaborata o sfumata?
R: No, è più naturale che mai. Ma è perché
anche i suoni intorno sono naturali. È una produzione in cui non c'è
sovrapposizione. Senza volumi né effetti speciali. È molto
essenziale, meno elaborata. In questo disco ho utilizzato una media
di 40 tracce per brano e in Papitwo non credo di averne utilizzate
meno di 70. La differenza è che non suona tanto “freddo” come i
precedenti. Questa è la modernità: meno arrangiamenti.
D: Col passare del tempo, il tuo look è
cambiato, come è logico ed evidente. Devi avere un guardaroba
impressionante...
R: No, no! Io regalo il mio vestiario. Ai fan,
che sono felici di possedere qualcosa di mio, ne hanno cura e lo
apprezzano. Non ho molto culto della mia persona. Alcuni vestiti sono
andati a finire nei musei, presso alcuni collezionisti, da amici.
Conservo poche cose. Soprattutto pensando ai miei figli, perché
abbiano qualche ricordo.
D: Però ci sono pezzi simbolici, nel tuo
vestiario. Come la gonna con la quale desti scandalo al Florida Park,
per esempio.
R: Quella... è che ne ho due. Una la regalai a
Boris Izaguirre. L'altra a Montesinos, dato che l'aveva realizzata
lui. Anche le mie sorelle hanno alcune cose. Nel museo dell'Abito ce
ne sono altre. Alla fin fine, ho poco spazio per conservare cose.
D: In questo disco hai inserito una canzone di
protesta.
R: È una critica piuttosto diretta e feroce alla
gestione di questo periodo, ai danni collaterali della crisi. Non
sono mai così esplicito, ma sentivo che questa volta dovevo esserlo.
Si stanno commettendo molte barbarie e nella più totale impunità.
Ci stanno distruggendo con la scusa di salvare l'economia. E
disperdono tutto ciò che abbiamo ottenuto dopo la “Transizione”:
la sanità, l'educazione, un equo pensionamento, il diritto alla
casa... E questi politici imbecilli hanno distrutto tutto! Il minimo
che potessi fare era una canzone in merito. Mi sono indignato e ne è
uscita questa canzone. Dopo, mi sono detto: Miguel, punta su ciò che
vuoi ottenere. Hai già dimostrato chi sei, però tu da solo non puoi
cambiare le cose. E l'ho finita lì. Perché stavo già cadendo in
una specie di rabbia irreversibile, mi stavo trasformando in una
specie di mostro squartatore, rischiavo di parlare a ruota libera.
D: In cosa è consistita la preparazione di
questo tour?
R: Io produco e dirigo gli spettacoli da sempre.
Lavoro coi miei bravi tecnici. Abbiamo un reparto per le luci, un
altro per i suoni, un altro per la musica. Un reparto che mi aiuta a
memorizzare e a ripetere tutti gli oggetti e le persone. Sono delle
squadre che contatto quando già ho pronto l'album, ci riuniamo a
caccia di idee per alcuni giorni. Dopodiché, ci ritroviamo di mese
in mese, e alla fine facciamo le prove generali, per assemblare il
tutto. Sono prove che iniziano alle nove del mattino e terminano a
mezzanotte, senza riposo nei fine settimana. C'è anche il settore
informatico, che disegna tutto. È come una fabbrica. Ci riuniamo in
una immensa nave e lì mangiamo. Molti si fermano a dormire lì.
Nasce così ognuno degli spettacoli che presento. Ma tutto ciò è
possibile grazie alla gente meravigliosa che lavora con noi.
D: I tuoi tour solitamente sono molto lunghi:
non ti stanca troppo andare di città in città, di paese in paese?
R: Se dicessi una cosa del genere alla mia
squadra, si piegherebbero in due dalle risate. Mi direbbero che non
ci credo nemmeno io. No, io sono un animale di strada. Il live ce
l'ho nel sangue. Qualche tempo fa mi dissero: fai dischi per farli o
per fare i tour? Indubbiamente li faccio perché sento il bisogno di
dare concerti, fare cose nuove. Per questo tutti i dischi finiscono
in lunghe tournées. Perché siamo una famiglia che realizza qualcosa
e ci sentiamo molto orgogliosi di questo e, quindi poi viaggiamo per
mostrarlo in giro. Siamo sempre in famiglia. La gente che mi
accompagna nei tour è la più vicina, quella con cui ho molto in
comune e con la quale parlo di tutto. E fare un live [con loro] è
una meraviglia. Ho un legame con il concerto dal vivo. Perché mi dà
molti benefici. È una grandissima terapia. Grazie a questo non devo
pagare nessuno psicologo né palestre... perché è esercizio
aerobico quotidiano. Se ho la febbre, qualche dolore, se mi procuro
una distorsione... con il live mi passa tutto. Le energie si
trasformano. Il prossimo anno ne compirò 60 e mi sento un'energia
maggiore e poderosa di quando ne avevo 25. Di sicuro, questo tour non
lo finiamo prima del luglio 2016. Per adesso, eh!
D: Non conosci la pigrizia?
R: No, non la conosco. E neppure mi sono mai
annoiato. Mai. Figurati se mi mancano cose da scoprire. La pigrizia è
una cosa importante da esplorare, ma non la conosco. La noia è
un'altra parola che non conosco.
D: E, con tutto questo carico di lavoro, quando
ti dedichi all'orto?
R: Ieri mattina. E anche questa mattina. Ieri
l'altro c'ero stato un altro po'. Ci vado tutti i giorni. Mi alzo
molto preso, organizzo la casa, i bambini, i cani e poi mi faccio un
giro nell'orto. È un modo per... per ricevere un nuovo giorno.
D: I tuoi figli avranno iniziato ad ascoltare
la tua musica...
R: --
Questo è il primo disco
che hanno ascoltato. Tadeo che è il più 'sveglio' mi ha detto:
Papà! Ma tu canti! Gli ho detto: Si, figlio. e lui è uscito
correndo dai fratelli: ragazzi, venite! corrrete! papà canta!! Tutti
sono rimasti strabiliati!E a partire da quel momento , tutte le
mattine, tuuuutte le mattine!! iniziamo col programma Levante y
Cárdenas,un programma di radio che ascolto e poi, prima di arrivare
a scuola, il mio disco.
D: Ma tu gli starai inculcando una cultura
musicale.
R: Sì: “Cri-Cri” (Il grillo canterino). E
“Los hermanos rincón” (i fratelli Rincón). Le conoscono molto
bene, sì sì. Anch'io ho cantato canzoni di “Cri-Cri”, come “El
ratón vaquero” (Il topo cowboy). E dei fratelli Rincón [ho
cantato] “Los tres cochinitos” (I tre porcellini) e così via.
Comunque, anche ai miei figli stanno regalando dei dischi... In
italiano e in spagnolo, che sono le due lingue in cui parliamo in
casa. Però frequentano una scuola in cui imparano anche l'inglese.
Appena Miguel termina di pronunciare queste
parole, improvvisamente si apre la porta della cucina. Entra sua
cugina Daniela [Bosé] con un bimbo vivace, che corre tra le braccia
dello zio. Parlano fra di loro in italiano e in spagnolo: “Ho
appena finito di preparare il mio primo gazpacho. Io ho tagliato i
pomodori”, dice il piccolo, tra il timido e l'orgoglioso. Un bacio
allo zio e se ne va. “È il cugino maggiore dei miei figli. Ha sei
anni. Perciò, vedessi come lo trattano con rispetto!”, afferma il
cantante. E scoppia in una risata che rimbomba nella sua tranquilla
casa di artista.
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